Per Corte i due giornalisti non responsabili di diffamazione
(ANSA) – STRASBURGO, 16 GEN – Renzo Magosso e Umberto Brindani non dovevano essere condannati per diffamazione a causa dell’articolo pubblicato sul settimanale ‘Gente’ nel giugno del 2004 sull’omicidio di Walter Tobagi in cui sostenevano che i carabinieri sapevano da tempo che il giornalista era nel mirino dei terroristi. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani nella sentenza con cui ha ritenuto l’Italia colpevole per la violazione del diritto alla libertà d’espressione dei due uomini. Nella sentenza, che diverrà definitiva tra 3 mesi se le parti non ricorrono in appello, la Corte di Strasburgo ha determinato che l’Italia deve versare a ciascuno dei due giornalisti i 15mila euro che hanno chiesto come danno morale.
Nel condannare l’Italia la Corte di Strasburgo punta il dito contro la valutazione fatta dai tribunali italiani che hanno condannato Magosso e Bridani per aver diffamato il defunto generale dei Carabinieri Umberto Bonaventura e il generale dell’Arma in pensione Alessandro Ruffino. Nella sentenza sono contenute numerose critiche a come il caso è stato giudicato e la Corte arriva alla conclusione che “la condanna dei due giornalisti è stata un’ingerenza sproporzionata nel loro diritto alla libertà d’espressione e quindi non necessaria in una società democratica”.
Tra le critiche sollevate, quella di non aver dato importanza al fatto che l’articolo in questione si basava su dichiarazioni fatte da terzi che il giornalista stava riportando. “Sanzionare un giornalista per il suo aiuto alla diffusione di dichiarazioni fatte da una terza persona durante un’intervista intralcerebbe gravemente il contributo della stampa alle discussioni su problemi d’interesse generale” e la sanzione può essere ammessa solo se ci sono “ragioni particolarmente gravi”.
La Corte di Strasburgo ricorda che quando un giornalista riporta dichiarazioni altrui i tribunali non devono domandarsi se l’autore dell’articolo può provare la veridicità delle dichiarazioni ma se ha agito in buona fede e fatto i dovuti controlli di verifica. A tale proposito la Corte di Strasburgo osserva che Magosso e Brindani “hanno fornito un numero consistente di documenti e di elementi che provano che hanno effettuato le verifiche che permettono di considerare la versione dei fatti riportata nell’articolo come credibile e fondata su una solida base fattuale”.
La Corte di Strasburgo critica anche l’ammontare dei danni morali (circa 150mila euro) che i due giornalisti sono stati condannati a versare, affermando che il fatto che siano state pagate dalla casa editrice del settimanale ‘Gente’ non cambia nulla perché non si può negare “l’effetto dissuasivo di tali sanzioni sul ruolo del giornalista nel contribuire alla discussione pubblica su temi che interessano la collettività”. (ANSA)
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Libero – venerdì 17 gennaio 2020 – pagina 14
La Corte di Strasburgo: violata la libertà di espressione
L’Europa castiga lo Stato italiano per aver condannato due giornalisti
Ora si può affermare
che l’ assassinio del giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi poteva
e doveva essere evitato.
Sei mesi prima del
delitto, avvenuto a Milano il 28 maggio 1980, il brigadiere Dario Covolo aveva
presentato una nota informativa sui terroristi che stavano progettando l’
agguato, ma i suoi superiori la chiusero in un cassetto. Anzi, gli avevano
ordinato di tacere e, nel frattempo, avevano emarginato il generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa dalle indagini sul terrorismo.
Renzo Magosso aveva
intervistato il sottufficiale su Gente il 17 giugno 2004 e da allora, per lui e
Umberto Brindani, direttore responsabile del settimanale, era iniziato un
calvario giudiziario che li aveva visti condannati per diffamazione in primo
grado, in appello e in Cassazione.
LIBERTÀ VIOLATA
Ieri, la Corte europea dei Diritti dell’ Uomo di Strasburgo ha reso pubblico il
testo in lingua francese della decisione con cui li riabilita e stabilisce che,
al contrario, è l’ Italia a essersi resa colpevole di aver violato la libertà
d’ espressione dei due giornalisti. La sentenza, che diverrà definitiva fra tre
mesi se le parti non ricorreranno in appello, condanna l’ Italia a versare
15mila euro a ciascuno dei due giornalisti, per risarcire i danni morali subiti.
All’ origine dell’
offensiva giudiziaria, la querela del generale in pensione Alessandro Ruffino e
della sorella del defunto generale Umberto Bonaventura. Era emerso che gli ex
ufficiali del nucleo antiterrorismo dell’ Arma dei carabinieri non solo avevano
sottovalutato gli elementi in loro possesso, che avrebbero consentito di
arrestare il capo della Brigata XXVIII Marzo, Marco Barbone, e i suoi complici
prima che uccidessero Tobagi, ma che sulla vicenda aleggia anche «l’ influenza
della loggia massonica P2 sulle istituzioni italiane durante gli Anni di
Piombo» ed è merito dei giornalisti averlo messo in luce, riconoscono a
Strasburgo.
Già qualche giorno
prima dell’ attentato, i telefoni dei terroristi comunisti erano stati messi
sotto controllo, come aveva confermato il capitano dei carabinieri Nicolò Bozzo
a Magosso, riferendogli di una “pista Barbone” avviata da tempo
grazie alle informazioni di un infiltrato. Si sapeva perfino, lo riferì in seguito
il ministro dell’ Interno Oscar Luigi Scalfaro, che «il gruppo sta operando in
via Solari», cioè dove abitava Tobagi. Barbone era figlio di un dirigente della
Rizzoli, azienda allora pesantemente infiltrata dalla P2.
VERSIONE CREDIBILE
Eppure gli arresti, a cui fecero seguito le condanne per l’ omicidio di Tobagi,
allora presidente dell’ Associazione Lombarda Giornalisti, avvennero soltanto
nell’ ottobre 1980. E fu fatto di tutto per farli apparire casuali, frutto di
una confessione spontanea di Barbone, anche a costo di depistare le indagini,
fino a far scomparire la relazione di Covolo.
Questa, in sintesi
la ricostruzione di Magosso e Brindani, i quali, osserva la Corte dei Diritti
dell’ Uomo «hanno fornito un numero consistente di documenti e di elementi che
provano che hanno effettuato le verifiche che permettono di considerare la
versione dei fatti riportata nell’ articolo come credibile e fondata su una
solida base fattuale».
Viene quindi
restituita la dignità professionale a Brindani e a Magosso. Quest’ ultimo si
rallegra parlandocon Libero: «Ho atteso lunghi anni l’ intervento della Corte
di Strasburgo ma non mi aspettavo parole così chiare e dure. Sono contento
soprattutto perché dimostrare che l’ informazione fa un lavoro serio è davvero
un monito importante per tutti i colleghi che lavorano duramente nel nome del
modo più corretto di informare». ANDREA MORIGI