28 maggio 1980 – 28 maggio 2020
Quando lo assassinarono a Milano, in via Salaino, Walter aveva compiuto da poco 33 anni. L’Italia intera rimase colpita dalla ferocia di chi aveva sparato alle spalle a un brillante giornalista e intellettuale, padre di due bambini, figlio unico; un vero fenomeno nel suo campo. Aveva già pubblicato diversi saggi di politica e sui sindacati; era anche uno studioso di storia, tanto che i suoi professori dell’Università Statale avevano sperato che tra il giornalismo a tempo pieno e la carriera universitaria potesse scegliere quest’ultima. Ma per lui scrivere di attualità, fare il cronista, approfondire gli avvenimenti giorno per giorno era un richiamo troppo forte; e così aveva imboccato la sua strada. Con il successo raggiunto nel mestiere avrebbe potuto concentrarsi su se stesso: invece spendeva tempo ed energie per occuparsi degli altri; per fare, cioè, il sindacalista dei giornalisti.
Quando, nel 1978, con un gruppo di colleghi tra i quali primeggiava Giorgio Santerini, decise di fondare la corrente sindacale di Stampa Democratica, e di assumere la presidenza dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, l’iniziativa suscitò reazioni e polemiche. Lui sulla società e sul ruolo che spetta alla stampa aveva idee forti, ma mai estremistiche o faziose. Del giornalismo conosceva i meriti e i confini. Aveva ben chiaro il rischio di mettersi al servizio di qualche potere politico, economico, di casta. Lo slogan di Stampa Democratica, varato allora, dice: “Da una parte sola, quella dei giornalisti”.
La sua idea era che chi fa informazione non deve chiudersi nel corporativismo o nell’indifferenza; con la società e con la politica si devono fare i conti; ma mai rendersi strumento o megafono di interessi esterni.
“Da una parte sola quella dei giornalisti”
Erano gli anni del terrorismo; tempi bui in cui c’era davvero da aver paura. Un inviato stava come su un fronte di guerra. Il dibattito di categoria nel 1978 era influenzato dagli avvenimenti tragici, a cominciare dal rapimento e l’assassinio di Moro. L’idea di Walter e di Stampa Democratica era che si doveva capire, approfondire, e raccontare: senza compiacimenti, senza censure. Non prestarsi a fare da cassa di risonanza ai terroristi, ma nemmeno mettere la sordina alle notizie.
Per questa chiarezza di idee, per la limpidezza della sua azione, aveva ricevuto minacce, più volte. E il suo nome era comparso tra le carte di un gruppo terrorista. Chi aveva condiviso con lui l’impresa di cambiare la gestione dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti cercò di convincerlo a tenersi lontano dalle cronache del terrorismo. Ma lui non volle rinunciare al suo ruolo.
Non fosse per la sua carica di Presidente dell’Associazione dei giornalisti, quel 28 maggio non sarebbe stato presente a Milano: stava girando l’Italia per seguire la campagna elettorale amministrativa. Rientrò per presiedere, al Circolo della Stampa, un dibattito che anche oggi ci appare di grande attualità, “Fare cronaca tra segreto istruttorio e segreto professionale”, indetto dopo l’arresto del giornalista del Messaggero Fabio Isman, che aveva pubblicato il memoriale di Patrizio Peci, brigatista pentito. Tra gli intervenuti l’avvocato Giandomenico Pisapia, i magistrati Adolfo Beria d’Argentine e Mauro Gresti, e molti giornalisti. Qualcuno prese nota della sua presenza, e l’indomani mattina il gruppo di apprendisti-brigatisti capeggiato da Marco Barbone lo attese sulla strada che andava da casa al garage dove teneva l’auto, e lo uccise.
A distanza di tanti anni Tobagi ci parla ancora. I suoi articoli, i suoi saggi, i suoi discorsi nelle sedi sindacali sono oggetto di studio. I terroristi stessi hanno spiegato perché colpirono lui: volevano demolire la società democratica e lo stato italiano in nome di un’utopia rivoluzionaria. Chi come Tobagi, o Moro, o il giudice Alessandrini, e tanti altri come Bachelet, e più tardi D’Antona e Marco Biagi, lavorava per riformare l’Italia, cambiarla in meglio con il dialogo e il metodo democratico, era un ostacolo pericoloso; perciò andava annientato o ridotto al silenzio
Il terrorismo con le sue utopie sanguinarie finì sconfitto, e oggi è ricordato come una delle parentesi più buie della storia d’Italia. Di Tobagi invece rimangono attualissimi l’esempio e gli insegnamenti.