Il cyber-bullismo e il sexual-bullying on-line sono avvertiti come pericolo serio dal 72% dei ragazzi tra i 12 e i 17 anni e i social network, sono ritenuti, per il 61% degli adolescenti, la modalità d’attacco preferita. Di solito si colpisce la vittima con la diffusione di foto e immagini denigratorie, lo pensa il 59%, o tramite la creazione di gruppi “contro” (57%). È quanto emerge da una ricerca sul bullismo anche sessuale su Internet condotta dalla cooperativa onlus “Pepita” che ha lanciato la campagna educativa “Io clicco positivo”.
L’indagine, condotta con interviste dirette a scuola, in oratori e discoteche, a circa 2.000 minorenni, è stata presentata in un incontro, organizzato da Renzo Magosso dell’Associazione lombarda dei giornalisti (Alg), al Circolo della Stampa di Milano. E si è parlato di tanti fatti di cronaca: giovanissimi accusati di essere gay o ragazzine fatte passare per prostitute e che talvolta non reggono più e decidono di farla finita; pestaggi violenti ripresi e messi in Rete, messaggi e filmati personali finiti on-line con conseguenze gravi per chi ne è inconsapevole protagonista.
Tra molti altri dati appare interessante sapere che l’85% degli interpellati ha ammesso di aver mentito o di mentire sull’età su Internet; il 98% dispone di un cellulare che si collega alla Rete e il 95% di questi si collega con WhatsApp. Il 70%, altro dato preoccupante, naviga senza alcun controllo dei genitori e il 10% ha assistito a episodi di cyber-bullismo o si è sentito un cyber-bullo. E ancora: solo il 10% di chi è stato vittima di cyber-bullismo ha avuto il coraggio di parlarne con qualcuno e il 70% dei ragazzi che hanno un profilo Facebook ignora che tutto il materiale pubblicato diventa di proprietà del social-network e che anche cancellando foto, video o post il tutto rimane comunque on line.
«Gli adolescenti non devono essere lasciati soli nel senso della solitudine – ha sottolineato Luisa Poluzzi, direttore generale di Gsa (Giornalisti specializzati associati) – bisogna trovare un punto di incontro nel loro linguaggio perché a quella età il gruppo diventa importantissimo. Tendono a escludere il resto del mondo e allora può capitare un cortocircuito che li fa diventare vittime o cyber-bulli». «La prima trincea sono la famiglia e la scuola – ha osservato il direttore del settimanale Oggi, Umberto Brindani – ma non bisogna enfatizzare il fenomeno per evitare casi di emulazione. Le leggi ci sono, ci vuole più attenzione delle autorità preposte. Certi siti vanno chiusi».
«”Io clicco positivo” vuole creare il messaggio più lungo del mondo e cioè che di cyber-bullismo bisogna parlare tutto l’anno – ha detto il presidente di “Pepita” Ivano Zoppi -. I ragazzi posseggono tanti strumenti, ma spesso non hanno la capacità di usarli correttamente, di distinguere il male dal bene e qui è forte il richiamo agli adulti, agli educatori, di stare vicino a questi ragazzi».
(ANSA)