Quando molti anni fa Walter Tobagi, con un gruppo di giornalisti impegnati nelle redazioni e nel sindacato, diedero vita a STAMPA DEMOCRATICA, il loro intento era ribellarsi contro le pretese di imporre “un pensiero unico”. Sembra semplice – ma in concreto non lo è mai – far riconoscere che non è necessario condividere un’opinione per riconoscerle il diritto di essere espressa.
Il caso di Filippo Facci ha giustamente suscitato sorpresa e dissenso. Nel rispetto delle competenze dell’Ordine e dei suoi consigli di disciplina, che ancora non hanno pronunciato sentenze definitive, STAMPA DEMOCRATICA osserva che usare i “tribunali” deontologici per censurare le idee è un grave errore, che porta solo acqua al mulino di chi dell’Ordine auspica l’abolizione. Le idee, tutte, si possono e anzi si debbono discutere e criticare. Proprio la legge istitutiva dell’Ordine afferma che “è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica”.
Nessuno può essere criminalizzato soltanto perché dichiara di detestare un’ideologia o anche una religione. Non si può vietare un sentimento, compresi il disprezzo e l’odio; purché naturalmente non sfocino nella violenza. Proprio come non si può imporre l’amore per qualcuno, qualcosa, un’idea, una cultura una tendenza. Ricordiamo la lezione di quel grande giornalista e pensatore che era George Orwell: la conclusione del romanzo “1984” era l’obbligo sociale di “amare il Grande Fratello”. STAMPA DEMOCRATICA – ricordando come altre volte pronunce deontologiche di primo grado che criminalizzavano le opinioni sono state poi corrette o annullate – confida che i giornalisti, in prima linea nella difesa della libertà e dell’autonomia professionale tanto in Italia quanto all’estero, sapranno evitare le insidie del luogo comune, della censura, della voglia di ridurre a propaganda il mestiere di informare. Proprio come sosteneva Tobagi negli anni Settanta.