L’associazione Stampa Democratica propone questo garbato e importante contributo alla libertà di stampa scritto dal magistrato Guido Salvini. Si tratta di una documentata replica all’intervento del suo collega Armando Spataro sulla qualità delle indagini dopo l’assassinio del giornalista, e tra i fondatori di Stampa Democratica, Walter Tobagi.
Alla nota del dottor Spataro pubblicata a pagina 17 dell’edizione di domenica 28 gennaio, ha fatto seguito la risposta del dottor Salvini pubblicata martedì 30 gennaio sul sito Corriere.it nella sezione Cronaca di Milano (qui il link).
Di seguito il testo dell’intervento del magistrato Salvini.
Su un caso così delicato come l’omicidio di Walter Tobagi sarebbe meglio partecipare a dibattiti come quello tenuto dall’ordine dall’Associazione dei Giornalisti ove è stato presentato il libro di Antonello De Stefano, fratello di uno gli autori del delitto morto in carcere, e sarebbe meglio riflettere pacatamente piuttosto che scrivere articoli di tono così inutilmente aggressivo contro un collega.
Quella di Spataro e Pomarici sembra veramente un eccesso di difesa visto che nel corso del dibattito tenuto il 16 gennaio non sono stati nemmeno nominati e che l’attenzione si è rivolta semmai a cercare di capire meglio, alla luce delle tracce disponibili, che cosa è avvenuto prima di quel 28 maggio 1980 e cioè prima che l’indagine della Procura iniziasse.
Costretto quindi a rispondere, ricordo anzitutto che non è affatto vero che io non mi sia mai occupato del caso Tobagi. Ho condotto io come Giudice Istruttore l’indagine sul tentativo di sequestro del giornalista nel 1978,l’episodio che ha preceduto il delitto di due anni dopo. Ho raccolto nel 1985 le dettagliate confessioni di uno degli autori del delitto, Mario Marano, e in numerose indagini ho interrogato e conosciuto tutte le persone che vi erano coinvolte. Tutto questo i due firmatari dell’articolo lo sanno perché in quelle indagini erano i Pubblici Ministeri.
Senza entrare quindi in polemica ci sono alcuni punti di merito di cui l’articolo non parla e che dovrebbero essere approfonditi.
La relazione del dicembre 1979 redatta dal brig. Ciondolo grazie alle informazioni raccolte dal confidente Il Postino di Varese doveva quantomeno suscitare attenzione perché in essa si parla chiaramente di un nuovo progetto contro il giornalista, si parla nuovamente di appostamenti nella zona di piazza Napoli e il ristretto ambiente da cui proveniva era lo stesso che aveva due anni prima quasi portato a termine sequestro. Ed è chiaro che non si trattava di un’informazione occasionale.
Basta leggere la relazione per capire che si tratta semplicemente di un capitolo di un lungo rapporto che si era instaurato tra i due, preceduto e seguito da molti altri, il frutto cioè di un rapporto continuativo che aveva dato origine a molte relazioni informative.
Due alti ufficiali dei Carabinieri del resto hanno recentemente testimoniato, anche nell’ambito delle ricerche della Commissione Moro, che le informative che sono giunte dal Postino erano molto numerose. Ciondolo ricorda che quelle successive a dicembre 1979 erano anche più chiare, indicavano le persone che stavano mettendo a punto quel progetto.
Perché allora quando la sola relazione di dicembre è divenuta pubblica, diffusa dal Ministro della difesa Lagorio nel 1983, non si è pensato subito di passare carta per carta tutto l’archivio dei Carabinieri di Milano per cercare le altre e tentare di capire cosa fosse successo, penso a sottovalutazioni non a complotti, nei mesi precedenti l’omicidio del giornalista?
Questa ricerca non è mai stata fatta quando sarebbe stata utile, né dalla Procura né da altri. Ho avuto modo di farla io dopo tanti anni e posso testimoniare che tutte quelle relazioni importantissime sono sparite.Nemmeno si può dire come si legge nell’articolo che la dettagliata relazione del dicembre 1979, rimasta in pratica inutilizzata, fosse inattendibile perché a quella data, secondo la Procura, il gruppo di Marco Barbone non esisteva ancora. Proprio uno dei suoi componenti del gruppo Francesco Giordano durante al dibattito, ha rivelato, lo ha fatto anche nel libro, che il gruppo già nel dicembre 1979, lui presente e con la stessa composizione che sarebbe continuata nei mesi successivi aveva già messo a segno rapine di autofinanziamento : quindi il pericolo c’era ed era ben concreto.
Cosa dire poi del fatto che il 4 giugno 1980 appena 6 giorni dopo l’omicidio l’abitazione di
Barbone fosse già sotto controllo, lo dice una relazione che ho avuto tra le mani e lo dice il
maresciallo che ha fatto l’appostamento, che ho avuto modo di sentire e che specifica che quel controllo si riferiva a caso Tobagi non ad un fatto qualsiasi ? . E cosa dire poi del fatto che già l’11 giugno erano partite, a colpo sicuro, le intercettazioni su Barbone e Morandini ? Cosa dire poi del fatto che il direttore del Corriere Di Bella poche ore dopo l’omicidio aveva chiesto notizie proprio su Barbone tra le centinaia di terroristi che erano attivi in quel momento in Lombardia?. E del fatto che come ha scritto giornalista già nell’immediatezza degli arresti, si parlava di notizie determinanti giunte da Varese ?
Evidentemente molti segnali vi erano stati e si poteva fare di più e meglio. Soprattutto non “liberarsi” di relazione e di appunti che sicuramente già subito dopo l’omicidio avevano indirizzato le indagini su Barbone e il suo gruppo ma che, in quanto sottovalutati in precedenza, potevano essere vissute come imbarazzanti testimoni di una disattenzione
Dei Carabinieri di Milano e della Procura non può essere messo in dubbio il grande impegno di quegli anni che certamente ha salvato tante vite e ha dato un colpo decisivo ai gruppi terroristici.
Nemmeno intendo sminuire la collaborazione di Barbone, decisiva per smantellare terrorismo e che non ha alcuna responsabilità delle incertezze che vi sono state nelle indagini. Tuttavia certe reticenze e il fastidio che si mostra quando una storia così dolorosa viene ricostruita non giovano a nessuno ed anzi contribuiscono ad alimentare complotti e dietrologie, soprattutto in merito agli immaginari mandanti di quell’episodio, che non hanno ragione di essere.
Soprattutto quando tacere ha portato, come è avvenuto, alla condanna di due giornalisti che hanno fatto semplicemente il loro dovere d’informazione raccontando quello che non era stato compreso nei mesi precedenti l’omicidio. E per questo giustamente il mondo della stampa tiene accesa la luce su quel caso e sulle condanne.
Nessuno, spero di essermi spiegato, può pretendere di avere il monopolio della verità.Guido Salvini
magistrato
L’intervento del magistrato Salvini era in risposta all’articolo del procuratore Spataro al quale il Corriere ha concesso un’intera pagina.
CORRIERE_DELLA_SERA_28-01-2018